mercoledì 13 giugno 2012

Dedico questa poesia agli operai dell’Italsider, alle loro famiglie ...

... al genitore che in passato non sapeva di barattare la propria salute per un futuro dignitoso. La dedico a sua moglie. Ai suoi figli. E la dedico a mio padre. Alla sua ingenuità. Alla sua onestà. E ai suoi sogni che oggi continuano a crescere e mettere radici!

Il profumo del caffè ha inebriato la casa
e il babbo dolcemente ha socchiuso la porta.
Con le arance in tasca e la famiglia nel cuore
ha già concesso ai pensieri anomale visioni.
L’orizzonte è illuminato, c’è chi racconta di un nascituro,
l’asfalto, le lancette, lo stabilimento dei sognatori acerbi.
Blindata tra le polveri scorre l’inganno,
le risate fraterne scuotono paesaggi
che celebrano agnelli sotto cieli di ipocrisia.
Papà è tornato a casa, scuote l’armatura,
mia madre gli sorride, i profumi saziano il focolaio.
Nel porto silenzioso le barche lentamente frantumano la luna
e le luci soffuse accompagnano le menti sterili.
L’infanzia, l’assenza, i giocattoli del padrone,
l’orgoglio, le fatiche, i ricordi di un operaio in pensione.
Il mandorlo ha saccheggiato il tempo e le rughe sul viso.
Le mani, ieri, accarezzavano ruvidamente l’acciaio.
Le mani, oggi, amorevolmente accarezzano la terra.

domenica 27 maggio 2012

Il mio regalo per gli ambientalisti di Taranto

Vi dedico questa mia poesia. Grazie al professore, al combattente, all’amico. Perchè la bandiera dei rivoluzionari ha tagliato il vento! E voi siete i miei rivoluzionari!

Frettolosa e pallida, la città dei due mari si è risvegliata,
audace e testarda, la bandiera dei rivoluzionari ha tagliato il vento
ed è semplice, rigogliosa, la verità che ha già scelto gli eletti.
La marcia inizia dal quartiere, dal Tamburi che risorge,
i giovani urlano, cantano tra le strade dell’austerità.
Aleggia il cuore del professore, del combattente, dell’amico
accanto alle acque torbide, avvelenate sotto cieli amari.
Per un attimo il silenzio ha inebriato la casta,
il profumo intenso del mare ha concesso brividi fugaci,
sugli scogli la gioventù ha innalzato castelli di speranza.
Le vie accolgono il corteo sotto palazzi grigi e freddi
ma il calore si erge e scova anime sepolte nella timidezza.
Sono qui, tra loro, persa nell’affetto, tra amici che applaudono
perché il ricordo possa raccontare dell’amore per la mia città.

Poesia dedicata alla città di Taranto

Questa poesia è un piccolo viaggio dall’Eni alla Chiesa Gesù Divin Lavoratore del Quartiere Tamburi.

Prima di risalire in cielo

Arde e troneggia la fiamma della discordia
tra impavidi frammenti di una generosa primavera.
Benvenuti nella culla dei padroni
sotto i cieli di un acre risveglio.
È il volo dei gabbiani, la gioia che rincuora,
è il viaggiatore che sceglie il ponte delle meraviglie.
Il quartiere dei principi ha spalancato le persiane,
all’alba, sulle culle di assonnati angioletti.
Nelle vie le ombre di genitori sconosciuti
hanno segnato il passato di un futuro incerto.
Le mura colorate raccontano di gioie,
di pranzi pasquali, di risate e di tavole imbandite a festa.
Le campane richiamano i fedeli, le anime tornano dal padre
e i camini sbuffano all’orizzonte, velano il profumo del mare.
Questo è il mio ricordo e la mia speranza
dinanzi alla chiesa degli innocenti, prima di risalire in cielo.

martedì 1 novembre 2011

Il mio giovane fato

Il mio giovane fato

Canta l’usignolo nel deserto delle verità,
danza nel vento il papavero arso dalla povertà,
si prosciuga la sorgente degli uomini liberi.
Prima del pane caldo … l’affetto.
Prima del lungo viaggio … il perdono.
Prima dell’amara lotta … il coraggio.
La neve scompare sul viale illuminato
… è tornato il sorriso, l’abbraccio, il bacio,
le parole calde del mio giovane fato.

Finalista 1° Concorso poetico letterario del DinAnimismo

Poesia dedicata a Megan Williams

STATI UNITI

Settembre 2007 - Non è stata scelta a caso. Rapita, torturata ed umiliata sessualmente da un gruppo di sei persone per una settimana in una abitazione isolata in West Virginia. La vittima era la ex-fidanzata di uno dei tormentatori. Durante la sua traumatica esperienza Megan Williams, 20 anni, è stata torturata a sangue con un coltello, costretta a mangiare feci di animali, stretta al collo con una fune, abusata sessualmente e insultata in continuazione con epiteti razziali. La polizia, che ha liberato la ragazza grazie ad una telefonata anonima, ha scoperto che la vittima aveva avuto in passato una relazione sentimentale con Bobby Brewster, uno dei sei sequestratori - tre donne e tre uomini - che l'hanno torturata per una settimana. La ragazza durante la prigionia è stata costretta a leccare le scarpe dei suoi rapitori e a bere acqua dalla tazza della toilette. Le violenze sessuali sono avvenute sotto la minaccia di coltelli e durante gli abusi la vittima è stata bruciata con acqua bollente. Il gruppo era guidato da Frankie Brewster, 49 anni, madre dell'ex-ragazzo della vittima. La donna ha una lunga fedina penale (compresi cinque anni di prigione per omicidio). Quando gli agenti si sono recati all’abitazione, dopo avere ricevuto una telefonata anonima, hanno trovato Frankie Brewster a sedere sotto il portico. La donna ha detto alla polizia che non c'era nessuno in casa ma poco dopo si è aperta la porta e la vittima è uscita barcollando, con le braccia tese, gli occhi pesti ed evidenti ferite alle gambe, gridando «Aiutatemi!» ai poliziotti. La vittima ha raccontato alla polizia dettagli orribili sulle torture subite, compreso l'obbligo a nutrirsi di feci di cani e di ratti. I torturatori le hanno tagliato anche i capelli e l'hanno più volte pugnalata ad una gamba. I sei rapitori - che comprendono coppie madre-figlio e madre-figlia - sono in età tra i 20 ed i 49 anni ed hanno tutti dei precedenti penali (per un totale di 108 incriminazioni).

Megan

I capelli scivolano sul pavimento,

il calore dell’acqua ustiona la paura,

il vento calma d’improvviso l’aria,

un brivido scorre sulla pelle

… è ancora la morte che sorride,

che si nutre, ti accarezza.

Il fetore accompagna i minuti,

le ore, le giornate e la smisurata sofferenza

quando le urla tuonano nel silenzio,

nel respiro, nelle voci bisbigliate

… sono il tormento, la tua illusione.

La violenza cresce sulla pelle,

l’impulso sfugge al fato,

i baci concessi dal cuore torturano

perché lui, tra gli altri, è il carnefice.

Megan, la donna che culla la speranza

che osserva le ombre sopraffarla

quando la mente vaga solitaria

e si abbandona ai pensieri dei suoi aguzzini.

C’è freddo, c’è tremore, c’è stanchezza

a circondare l’inaccettabile respiro

… il calore di una donna da cercare, da salvare.

Una mano afferra una maniglia,

le lacrime scorrono sul viso,

qualcuno irrompe nel silenzio, nella follia.

Si avvicina, non capisce, la sorregge,

… non dimenticherà mai, non capirà mai

il principio di una condanna annunciata.


Secondo posto ex aequo Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera” Edizione 2010


Poesia dedicata a Jamila

AFGHANISTAN

Sono le dieci di sera quando Jamila bussa alla porta di casa Hamman. Il giovane Mirwais apre la porta e corre a chiamare il padre: "Cosa succede! Tu, a quest'ora, a casa mia!" Jamila non esita un istante e sputa il rospo: "Amo Asif, tuo figlio, e voglio divorziare da mio marito". Il vecchio Hamman quasi tracolla, preso dal panico ordina al figlio di portare Jamila a casa di suo zio Rauf e di non farla uscire. Bastano pochi minuti e la sciagurata notizia corre impazzita di casa in casa. Jamila resta sola, rinchiusa in una stanza, pensando alla sua triste storia. Quel matrimonio combinato contro la sua volontà, quel marito che non ha mai amato e che per tre anni l'ha lasciata sola per cercare fortuna all'estero. E poi la solitudine, l'indifferenza di una società sorda al suo dolore, i sacrifici fatti per tirare avanti. E poi un giorno finalmente l'amore, finalmente l'uomo giusto. E la decisione coraggiosa di andare fino in fondo. La giustizia del mullah.  Alle quattro di notte la comunità maschile è già radunata nella moschea. Non si tratta della solita preghiera del mattino perché il mullah è arrivato in tutta fretta dalla città. L'atmosfera si fa tesa quando i testimoni raccontano lo sciagurato affronto di Jamila. Ma non ci sono dubbi, prima dell'alba il mullah emette la sentenza: lapidazione per la donna adulterina e cinquanta frustate per Asif, l'amato. I duecento partecipanti firmano l'atto di condanna che in seguito scomparirà e non sarà reperibile per gli investigatori del caso. Le mani omicide dei fratelli. Jamila è ancora a casa dello zio Rauf, ed è solo nel tardo pomeriggio che il padre e i due fratelli la raggiungono per eseguire la sentenza. Jamila capisce all'istante ma non reagisce, non cerca di difendersi e accetta silenziosamente il suo tragico destino. L'autopsia parlerà di grossi ematomi sul volto, un occhio tumefatto, e alcuni segni di percosse, anche se la morte è avvenuta per strangolamento. I medici riportano anche che Jamila non aveva rapporti sessuali da anni. Gli investigatori arrivano da Kabul solo cinque giorni dopo l'omicidio, e il clamore dell'evento spezza facilmente il velo d'omertà del piccolo villaggio. Le condanne non tardano ad arrivare. Vent'anni di carcere per il padre che in lacrime giura di non averla colpita, e per i due figli che rivendicano con orgoglio il massacro della sorella. Duecento dollari di ammenda per i firmatari della condanna scomparsa, libertà per il mullah che torna in tutta calma giù in città.

 

Jamila, un amore afgano

La polvere segue i lineamenti di una donna,

i passi, le urla al di là delle mie sbarre

mentre si spegne questo amore tormentato.

Penso a lei, alle parole sussurrate al cuore.

Il freddo pungente, un grido, la sofferenza.

Resto inerte tra i sassi che massacrano,

che straziano il candore della sua pelle.

La ragione di un fratello ti rinnega,

l’affetto di una madre ti accompagna

e le carezze di un padre non proteggono.

I piedi sono gelidi, gli occhi nascosti da un lenzuolo,

il sacrificio si spegne avvolto dal coraggio.

La polvere è andata via, le mani sono insanguinate,

un corpo giace immobile, la piazza si è svuotata.

Una fitta mi prende al cuore.

Perdona un uomo che ti ha incatenato,

perdona l’amore che ti ha imprigionato,

e perdona un popolo che ti ha giudicato.

 

Secondo posto ex aequo Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera” Edizione 2010

Poesia dedicata alle sorelle Esen ed Elif

KURDISTAN

Peacereporter - Esen Arslan aveva solo 18 anni quando si dette fuoco per protestare contro l’arresto di Abdullah Ocalan, nel febbraio del 1999. E’ morta di setticemia, non curata dai medici, legata mani e piedi a un lurido letto di un ospedale di Izmir, cantando, con l’ultimo fiato che aveva in gola, una canzone dei guerriglieri del Pkk. La sorella, Elif, aveva poco più di 20 anni quando, tre anni dopo a Istanbul, ha deciso di farla finita allo stesso modo. Nel secondo anniversario della morte della sorella ha messo i vestiti di Esen sul letto e poi si è suicidata dandosi fuoco. 

Esen ed Elif, anime curde

Sono calma, ancora lucida, sola,

mentre afferro i rimpianti di una sorella,

tra gli abiti accanto a una follia,

in un legame forte come la libertà.

Sento il calore crescere sulla pelle,

le fiamme imprigionarmi nell'inferno,

il dolore dare un senso alla mia pazzia

nella torcia umana che si spegne in una stanza,

tra gli scritti, il mio lavoro, la mia vita.

Il corpo si piega, già martoriato dai ricordi,

le gambe cedono, lontana dagli affetti.

Voglio andare via, adesso ...

ma nessuno ascolta l'agonia di una donna

che come luce gelida di una candela,

spiega le ali di una amara vittoria.

Il ricordo di una sorella, il suo respiro di tre giorni,

un letto che soffoca, che stringe i polsi, le caviglie

... questo era il suo canto e il mio destino.

La guardo, le sorrido, la cerco.

È il viso umido di mia madre,

la madre coraggiosa di questa ultima agonia.


Secondo posto ex aequo Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera” Edizione 2010