domenica 13 febbraio 2011

Poetry dedicated to the small Ahmed Ismail Khatib


Il 3 novembre 2005 a Jenin, città palestinese nella Cisgiordania del Nord, era un giorno di festa. La festa di fine Ramadan. Il piccolo Ahmed Ismail al Khatib giocava con un mitra giocattolo. Un militare israeliano, a 130 metri di distanza, ha scambiato quell’arma di plastica in una vera. Un colpo alla testa. L'ambulanza … e poi la morte. «Non importa a chi vanno gli organi di Ahmed: a un ebreo, a un druso o a un musulmano. Un bambino è un bambino» ha dichiarato lo zio di Ahmed. Del bimbo sono stati donati il fegato, i reni, i polmoni. Il suo cuore è andato alla dodicenne ebrea israeliana Samah. Attendeva un trapianto da cinque anni.


Il cuore caldo di Ahmed

Le ombre si rincorrono negli stretti vicoli
e giocano tra le mura insanguinate di Jenin.
Il popolo di Palestina s’intreccia coi rami di ulivo
tra le ricchezze di una terra che accoglie ...
che amorevolmente attende di custodire due numi.
I volti danzano nei rimorsi
come soave memoria tra candele di ricordi.
Com’è luccicante, festoso, azzurro questo mattino.
La gioia dei miei compagni è interrotta
da uno sparo che mi trascina sul terreno.
Il giocattolo non è più tra le dita,
la canna di un fucile è ancora caldo
e mia madre ... le sue urla disperate,
le sue carezze sulla fronte,
le preghiere di mio padre.
Il dono della vita avanza impetuoso
nutrito sotto la pelle rosea di Samah.
Il fragile eroe ha incantato il mondo.
Sono pure tenerezze, risate squillanti,
un luminoso giorno svelato ...
è questo il cuore caldo offerto ad un bimbo fiducioso.
Le parole antiche sono sospese tra passato e futuro
... raccontano di visioni, raccontano di pace.