martedì 1 novembre 2011

Il mio giovane fato

Il mio giovane fato

Canta l’usignolo nel deserto delle verità,
danza nel vento il papavero arso dalla povertà,
si prosciuga la sorgente degli uomini liberi.
Prima del pane caldo … l’affetto.
Prima del lungo viaggio … il perdono.
Prima dell’amara lotta … il coraggio.
La neve scompare sul viale illuminato
… è tornato il sorriso, l’abbraccio, il bacio,
le parole calde del mio giovane fato.

Finalista 1° Concorso poetico letterario del DinAnimismo

Poesia dedicata a Megan Williams

STATI UNITI

Settembre 2007 - Non è stata scelta a caso. Rapita, torturata ed umiliata sessualmente da un gruppo di sei persone per una settimana in una abitazione isolata in West Virginia. La vittima era la ex-fidanzata di uno dei tormentatori. Durante la sua traumatica esperienza Megan Williams, 20 anni, è stata torturata a sangue con un coltello, costretta a mangiare feci di animali, stretta al collo con una fune, abusata sessualmente e insultata in continuazione con epiteti razziali. La polizia, che ha liberato la ragazza grazie ad una telefonata anonima, ha scoperto che la vittima aveva avuto in passato una relazione sentimentale con Bobby Brewster, uno dei sei sequestratori - tre donne e tre uomini - che l'hanno torturata per una settimana. La ragazza durante la prigionia è stata costretta a leccare le scarpe dei suoi rapitori e a bere acqua dalla tazza della toilette. Le violenze sessuali sono avvenute sotto la minaccia di coltelli e durante gli abusi la vittima è stata bruciata con acqua bollente. Il gruppo era guidato da Frankie Brewster, 49 anni, madre dell'ex-ragazzo della vittima. La donna ha una lunga fedina penale (compresi cinque anni di prigione per omicidio). Quando gli agenti si sono recati all’abitazione, dopo avere ricevuto una telefonata anonima, hanno trovato Frankie Brewster a sedere sotto il portico. La donna ha detto alla polizia che non c'era nessuno in casa ma poco dopo si è aperta la porta e la vittima è uscita barcollando, con le braccia tese, gli occhi pesti ed evidenti ferite alle gambe, gridando «Aiutatemi!» ai poliziotti. La vittima ha raccontato alla polizia dettagli orribili sulle torture subite, compreso l'obbligo a nutrirsi di feci di cani e di ratti. I torturatori le hanno tagliato anche i capelli e l'hanno più volte pugnalata ad una gamba. I sei rapitori - che comprendono coppie madre-figlio e madre-figlia - sono in età tra i 20 ed i 49 anni ed hanno tutti dei precedenti penali (per un totale di 108 incriminazioni).

Megan

I capelli scivolano sul pavimento,

il calore dell’acqua ustiona la paura,

il vento calma d’improvviso l’aria,

un brivido scorre sulla pelle

… è ancora la morte che sorride,

che si nutre, ti accarezza.

Il fetore accompagna i minuti,

le ore, le giornate e la smisurata sofferenza

quando le urla tuonano nel silenzio,

nel respiro, nelle voci bisbigliate

… sono il tormento, la tua illusione.

La violenza cresce sulla pelle,

l’impulso sfugge al fato,

i baci concessi dal cuore torturano

perché lui, tra gli altri, è il carnefice.

Megan, la donna che culla la speranza

che osserva le ombre sopraffarla

quando la mente vaga solitaria

e si abbandona ai pensieri dei suoi aguzzini.

C’è freddo, c’è tremore, c’è stanchezza

a circondare l’inaccettabile respiro

… il calore di una donna da cercare, da salvare.

Una mano afferra una maniglia,

le lacrime scorrono sul viso,

qualcuno irrompe nel silenzio, nella follia.

Si avvicina, non capisce, la sorregge,

… non dimenticherà mai, non capirà mai

il principio di una condanna annunciata.


Secondo posto ex aequo Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera” Edizione 2010


Poesia dedicata a Jamila

AFGHANISTAN

Sono le dieci di sera quando Jamila bussa alla porta di casa Hamman. Il giovane Mirwais apre la porta e corre a chiamare il padre: "Cosa succede! Tu, a quest'ora, a casa mia!" Jamila non esita un istante e sputa il rospo: "Amo Asif, tuo figlio, e voglio divorziare da mio marito". Il vecchio Hamman quasi tracolla, preso dal panico ordina al figlio di portare Jamila a casa di suo zio Rauf e di non farla uscire. Bastano pochi minuti e la sciagurata notizia corre impazzita di casa in casa. Jamila resta sola, rinchiusa in una stanza, pensando alla sua triste storia. Quel matrimonio combinato contro la sua volontà, quel marito che non ha mai amato e che per tre anni l'ha lasciata sola per cercare fortuna all'estero. E poi la solitudine, l'indifferenza di una società sorda al suo dolore, i sacrifici fatti per tirare avanti. E poi un giorno finalmente l'amore, finalmente l'uomo giusto. E la decisione coraggiosa di andare fino in fondo. La giustizia del mullah.  Alle quattro di notte la comunità maschile è già radunata nella moschea. Non si tratta della solita preghiera del mattino perché il mullah è arrivato in tutta fretta dalla città. L'atmosfera si fa tesa quando i testimoni raccontano lo sciagurato affronto di Jamila. Ma non ci sono dubbi, prima dell'alba il mullah emette la sentenza: lapidazione per la donna adulterina e cinquanta frustate per Asif, l'amato. I duecento partecipanti firmano l'atto di condanna che in seguito scomparirà e non sarà reperibile per gli investigatori del caso. Le mani omicide dei fratelli. Jamila è ancora a casa dello zio Rauf, ed è solo nel tardo pomeriggio che il padre e i due fratelli la raggiungono per eseguire la sentenza. Jamila capisce all'istante ma non reagisce, non cerca di difendersi e accetta silenziosamente il suo tragico destino. L'autopsia parlerà di grossi ematomi sul volto, un occhio tumefatto, e alcuni segni di percosse, anche se la morte è avvenuta per strangolamento. I medici riportano anche che Jamila non aveva rapporti sessuali da anni. Gli investigatori arrivano da Kabul solo cinque giorni dopo l'omicidio, e il clamore dell'evento spezza facilmente il velo d'omertà del piccolo villaggio. Le condanne non tardano ad arrivare. Vent'anni di carcere per il padre che in lacrime giura di non averla colpita, e per i due figli che rivendicano con orgoglio il massacro della sorella. Duecento dollari di ammenda per i firmatari della condanna scomparsa, libertà per il mullah che torna in tutta calma giù in città.

 

Jamila, un amore afgano

La polvere segue i lineamenti di una donna,

i passi, le urla al di là delle mie sbarre

mentre si spegne questo amore tormentato.

Penso a lei, alle parole sussurrate al cuore.

Il freddo pungente, un grido, la sofferenza.

Resto inerte tra i sassi che massacrano,

che straziano il candore della sua pelle.

La ragione di un fratello ti rinnega,

l’affetto di una madre ti accompagna

e le carezze di un padre non proteggono.

I piedi sono gelidi, gli occhi nascosti da un lenzuolo,

il sacrificio si spegne avvolto dal coraggio.

La polvere è andata via, le mani sono insanguinate,

un corpo giace immobile, la piazza si è svuotata.

Una fitta mi prende al cuore.

Perdona un uomo che ti ha incatenato,

perdona l’amore che ti ha imprigionato,

e perdona un popolo che ti ha giudicato.

 

Secondo posto ex aequo Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera” Edizione 2010

Poesia dedicata alle sorelle Esen ed Elif

KURDISTAN

Peacereporter - Esen Arslan aveva solo 18 anni quando si dette fuoco per protestare contro l’arresto di Abdullah Ocalan, nel febbraio del 1999. E’ morta di setticemia, non curata dai medici, legata mani e piedi a un lurido letto di un ospedale di Izmir, cantando, con l’ultimo fiato che aveva in gola, una canzone dei guerriglieri del Pkk. La sorella, Elif, aveva poco più di 20 anni quando, tre anni dopo a Istanbul, ha deciso di farla finita allo stesso modo. Nel secondo anniversario della morte della sorella ha messo i vestiti di Esen sul letto e poi si è suicidata dandosi fuoco. 

Esen ed Elif, anime curde

Sono calma, ancora lucida, sola,

mentre afferro i rimpianti di una sorella,

tra gli abiti accanto a una follia,

in un legame forte come la libertà.

Sento il calore crescere sulla pelle,

le fiamme imprigionarmi nell'inferno,

il dolore dare un senso alla mia pazzia

nella torcia umana che si spegne in una stanza,

tra gli scritti, il mio lavoro, la mia vita.

Il corpo si piega, già martoriato dai ricordi,

le gambe cedono, lontana dagli affetti.

Voglio andare via, adesso ...

ma nessuno ascolta l'agonia di una donna

che come luce gelida di una candela,

spiega le ali di una amara vittoria.

Il ricordo di una sorella, il suo respiro di tre giorni,

un letto che soffoca, che stringe i polsi, le caviglie

... questo era il suo canto e il mio destino.

La guardo, le sorrido, la cerco.

È il viso umido di mia madre,

la madre coraggiosa di questa ultima agonia.


Secondo posto ex aequo Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera” Edizione 2010

Poesia dedicata alla piccola Nojoud Muhammed Nasser

YEMEN

Opera nata dalla storia di Nojoud Muhammed Nasser

Nojoud è una bambina Yemenita che il 2 aprile 2008 si è presentata davanti ad un tribunale del la capitale dello Yemen, per chiedere il divorzio dal marito, che la picchiava e la costringeva ad avere rapporti sessuali, e per denunciare il padre, che due mesi prima l’aveva data in moglie ad un uomo di 30 anni. Nojoud nel 2008 aveva solo 8 anni. Il giudice le ha concesso il divorzio ma la storia di Nojoud accomuna molte altre bimbe che vivono la stessa realtà in paesi come l’Afghanistan, il Nepal, l’Etiopia, il  Bangladesh, l’India e il Pakistan. I matrimoni precoci sono la conseguenza delle difficili condizioni economiche delle famiglie che vedono nella dote un sostentamento necessario per il proprio nucleo familiare.

 

Nojoud, la piccola sposa bambina

In una culla rosa si schiudono i miraggi

ed una bimba ne assapora l’ambrosia, l’intensità.

La rabbia piega le fantasie riposte in un cortile

sulle altalene mosse dal tepore, dalla quiete.

Nei ricordi i giochi, le rincorse, i compagni da abbracciare

ed una promessa, un velo candito sul viso acerbo.

Le paure si trascinano tra le mura dell’omertà

e la pietà si logora tra le lenzuola

che accolgono un angelo tremante,

disteso sotto ad un uomo violento.

Nojoud piange, fugge, si dimena

… è irraggiungibile, è isolata

nelle stanze di una sposa bambina.

Sotto le mani ruvide lo spirito si rialza

e chiede ascolto alla mia assenza, alla mia cecità.

Nell’eco il respiro si fa intenso,

l’orco ne afferra i polsi

e ne consuma il bocciolo … 

ne inaridisce il domani …

ne ghermisce l’infanzia …

Nojoud ha smesso di piangere

e la piccola sposa non ha più velo

nello sguardo vivo di una donna in fasce.


Primo Premio 4° Edizione Concorso Nazionale di Poesia in Lingua Italiana “Isabella Morra” (13/08/2009)

Poesia dedicata a Kamilat Muhisin

ETIOPIA

Opera nata dalla storia di Kamilat Muhisin

La storia di Kamilat arriva dall’Etiopia. Aveva un futuro luminoso davanti a lei. Ha lavorato in una società privata dei suoi genitori e si è laureata nel 2004 presso il collegio S. Maria con un diploma in scienze. “Un uomo venuto dal nulla ha versato dell’acido sulla mia faccia, e alcune gocce hanno raggiunto anche una delle mie sorelle al volto” racconta Kamilat stesa nel letto di un ospedale. Ha gli occhi coperti da una benda perché ha subito un intervento. Entrambe, una sera, erano di ritorno dal lavoro. Kamilat conosceva bene l’uomo che le ha deturpato il viso. Era un amico da circa cinque-sei anni ma col tempo il suo atteggiamento ha iniziato a cambiare. “Mi seguiva ovunque e sapeva sempre quello che mangiavo e bevevo. Un giorno ha anche minacciato di afferrare la mia mano e di mettermi una bomba tra le dita per mostrare la misura della sua follia. Nel momento in cui mi è stato versato sul viso non sapevo che era acido. L’ho capito quando ha iniziato a corrodere i miei occhi. E’ accaduto in pochi secondi. La reazione immediata è stata quella di cercare il mio viso con le mani. Era quasi bruciato del tutto insieme ai miei occhi. Quando sono arrivati i miei genitori hanno gettato dell’acqua sul volto per fermare la corrosione e poi siamo corsi verso l’ospedale”. Tutta la faccia, tra cui la sua fronte e la zona del torace, sono stati bruciati. L’acido ha sfigurato e provocato uno scolorimento della pelle. Kamilat ha perso i capelli sulla fronte … non ricresceranno mai più. L’acido ha distrutto la funzionalità degli occhi. Il 5 marzo 2007 ha subito un’operazione alle palpebre superiori per poter almeno chiudere gli occhi. Un successivo intervento alle palpebre inferiori le avrebbe permesso di poter chiudere entrambi gli occhi. Il giorno successivo Demesew, l’uomo che l’aveva sfigurata, si è recato in ospedale. Ha insistito sulla possibilità di poter incontrare Kamilat. Alla scoperta della sua identità le infermiere gli hanno chiesto di aspettare fuori e hanno avvisato i suoi fratelli. Demesew è stato arrestato dalla polizia.

 

Kamilat, il volto dei ricordi

I passi si susseguono cercando una donna,

lo spirito abbraccia le aspirazioni del domani

e le mani violente accarezzano un viso fragile.

I passi si susseguono attraversando la via del martirio

nella notte dove i sorrisi tra sorelle appaiono eterni

ed il cuore gioisce, non sa d’essere una preda seguita,

osservata, ricattata da brandelli di una follia.

Quel giorno lo ricordo ancora.

Nello specchio le labbra morbide, gli occhi raggianti

e la pelle rosea nei lineamenti sottili.

Sono io riflessa nel passato … serena.

Nelle mani di un uomo celato inizia la mia condanna

e tra la gente invisibile si consuma l’avvenire.

Si avvicina … bagna il viso … fugge …

il senso del vuoto cresce

e si accascia stanco ai miei piedi

mentre si spezzano le gioie della fanciullezza.

Le urla disperate sono assordanti

e la pelle incandescente si fa chiara, corrode

… stordisce il respiro faticoso.

Le palpebre non trattengono più le lacrime

e nella foto nascosta in un cassetto resta la reminiscenza,

le mani che accarezzano l’espressione in volto,

un’immagine scomparsa

… orfana tra gli oggetti del passato.

 

Selezione Editoriale 7° Concorso di Poesia “Poesie del nuovo millennio” – Edizione 2009

domenica 30 ottobre 2011

Video dedicato alle piccole spose bambine

Opera dedicata ai piccoli Enfants sorciers del Congo

CONGO

Repubblica democratica del Congo - A migliaia vengono accusati, dai genitori o dai vicini, di essere posseduti dal diavolo. E per questo sono cacciati di casa, umiliati, picchiati, a volte uccisi. Un'epidemia di furore superstizioso e di paura che distrugge vite giovanissime, alimenta nuove sette e procura affari d'oro agli esorcisti.

Enfants sorciers

La notte cala in fretta a Kinshasa,
nel quartiere di Matete si accende l'ultimo spiraglio di luce
e si risveglia un'altra notte di paura.
Rannicchiato tra i cartoni di un mercato
non sei il solo, ma il racconto di un'altra piccola anima.
Un corpicino nascosto nell'ombra,
stringe, nelle mani gelide, un pezzetto di pane, di vita.
La calma pungente trattiene un singhiozzo ... hai timore.
Non toccate il piccolo stregone,
non guardate gli occhi del male,
non parlate a chi annida la maledizione.
Il cielo si è schiuso negli sguardi intensi,
nell'infelicità, nell'ignoranza, nell'apparenza.
Fanno male, sono sempre lì,
non smettono di ricordare i mozziconi bruciati sulla pelle.
Il male respira e ferisce ancora,
spengono le piccole gioie ... le piccole favole di André.
Poche ore ancora e il sole ti riscalderà
svezzerà le debolezze, le fragilità annidate nella forza di un innocente.
Ti allaccerai lo spago ai sandali,
i pantaloni saranno sempre più stretti e tu scapperai,
via dalla realtà, lontano dalla follia,
volerai oltre le pieghe di un dolore.
Le ombre nel buoi non faranno più paura,
nascoste nell'angolo di un muro, l'apatia
e il giocattolo frantumato di un frugoletto.
Resti solo un piccolo soffio di vita.

Selezione Editoriale “Il Suono del Silenzio 2007”

Dedicated to Malika Soltayeva (Chechnya)

Gli occhi pieni di paura fissano la telecamera. Sopracciglia rasate, capelli tagliati cortissimi e dipinti di verde, sulla fronte una croce anch'essa verde simbolo di vergogna per una donna musulmana. È questa una delle spaventose immagini di un video diffuso dal sito internet del quotidiano statunitense New York Times sul caso di una giovane donna cecena incinta, sospettata di adulterio e torturata per questo dalla polizia.

Malika

Le mani toccato, s'impossessano della gracilità di una donna,
i capelli cadono, tra i sorrisi compiaciuti di una divisa,
la pelle rosea si oscura, il dolore soffoca due vite
e nessuno smette ... nessuno ferma quella furia
tra le lacrime, sotto gli sguardi di nuovi spettatori.
Si scalda la rabbia sulle spalle nude,
un simbolo vaneggia marchiato, tatuata da un sospetto
dalla vergogna, dalla violenza, da una sentenza sospesa ...
in bilico su un sottile filo di giustizia.
Danzi sotto i riflettori di una sofferenza
ed io abbasso lo sguardo e cerco d'inventare una ragione.
Quando crollerai sarai un burattino utilizzato per un giorno.
Domani toccherà a me, tutto si ripeterà,
domani penseranno a me, nessuno si fermerà,
domani nasconderò il viso per una vergogna
... ma quale? Dimmi che oltre c’è ancora un po’ di luce.
Il silenzio, l’arma che difende una donna impaurita,
le lacrime, il coltello che affonda in un cuore che batte,
e anche questo giorno tramonterà, dovrà accadere.
La mente ti torturerà negli anni, mia fragile Malika,
le lacrime scenderanno frettolosamente sul viso
ma in grembo una sola certezza … spero sia la tua nuova vita.

Terzo Premio ex aequo 14° Edizione Premio Nazionale di Poesia, Narrativa e Teatro “Città di Bitetto” (20/05/2007)

Dedicated to children of Al-Hanan orphanage, northwest of Baghdad

“Un mucchio di corpicini giacevano accatastati sul pavimento”, ha dichiarato il sergente Mitchell Gibson, dell'82^ Divisione Usa, “sembravano tutti morti. Poi uno, molto lentamente, ha sollevato la testa e ha guardato i soldati. Solo allora si è capito che erano vivi”. I ragazzi presentavano evidenti segni di percosse, oltre a essere sulla soglia della morte per fame. “Le loro condizioni rendevano doloroso ogni movimento, anche il più piccolo, muovevano solo gli occhi” ...

I cuccioli rinchiusi di Al-Hanan

Il pavimento accoglie il tormento
e assapora la leggerezza di tante giovani esistenze.
Il calore di un corpo tiepido mi giace accanto,
l’aria pungente, i respiri sottili, i lividi in corpo,
gli insetti che volano su grovigli di vite sovrapposte
e rinchiuse tra le mura di un’ultima prigione.
Le forchette si muovono in lontananza tra le risate di un uomo.
Perché non si cura del mio lamento?
Sto impazzendo, mi sto spegnendo,
sta svanendo anche l’ultimo spiraglio
e resto, ancora per un po, in bilico tra il calore della vita e il nulla,
come un frutto marcio da allontanare … da gettare via.
Ho smesso di giocare, di ridere, d’aspettare.
Il cuore si è prosciugato, le ferite non spaventano più
e gli occhi del mio aguzzino si disperdono assorbiti dalla calma.
Le ginocchia toccano il mento,
i polsi legati, gli occhi deboli
… non sento più il palmo della mano.
La porta si schiude, le parole restano incomprensibili,
un cuore batte attraverso una divisa
e il gelido agonizzante non incatena più.
Una mano calda mi sfiora,
mi solleva dalla culla della morte …
… sono arrivate, sono le persone buone.

- Terzo Premio ex aequo 15° Edizione Premio Nazionale di Poesia e Narrativa “Città di Bitetto” (15/06/2008)
- Selezione Editoriale III Concorso di Poesia “Dedicato a … Poesie per ricordare” Volume 6 – Edizione 2007

domenica 13 febbraio 2011

Poetry dedicated to the small Ahmed Ismail Khatib


Il 3 novembre 2005 a Jenin, città palestinese nella Cisgiordania del Nord, era un giorno di festa. La festa di fine Ramadan. Il piccolo Ahmed Ismail al Khatib giocava con un mitra giocattolo. Un militare israeliano, a 130 metri di distanza, ha scambiato quell’arma di plastica in una vera. Un colpo alla testa. L'ambulanza … e poi la morte. «Non importa a chi vanno gli organi di Ahmed: a un ebreo, a un druso o a un musulmano. Un bambino è un bambino» ha dichiarato lo zio di Ahmed. Del bimbo sono stati donati il fegato, i reni, i polmoni. Il suo cuore è andato alla dodicenne ebrea israeliana Samah. Attendeva un trapianto da cinque anni.


Il cuore caldo di Ahmed

Le ombre si rincorrono negli stretti vicoli
e giocano tra le mura insanguinate di Jenin.
Il popolo di Palestina s’intreccia coi rami di ulivo
tra le ricchezze di una terra che accoglie ...
che amorevolmente attende di custodire due numi.
I volti danzano nei rimorsi
come soave memoria tra candele di ricordi.
Com’è luccicante, festoso, azzurro questo mattino.
La gioia dei miei compagni è interrotta
da uno sparo che mi trascina sul terreno.
Il giocattolo non è più tra le dita,
la canna di un fucile è ancora caldo
e mia madre ... le sue urla disperate,
le sue carezze sulla fronte,
le preghiere di mio padre.
Il dono della vita avanza impetuoso
nutrito sotto la pelle rosea di Samah.
Il fragile eroe ha incantato il mondo.
Sono pure tenerezze, risate squillanti,
un luminoso giorno svelato ...
è questo il cuore caldo offerto ad un bimbo fiducioso.
Le parole antiche sono sospese tra passato e futuro
... raccontano di visioni, raccontano di pace.