martedì 1 novembre 2011

Poesia dedicata a Jamila

AFGHANISTAN

Sono le dieci di sera quando Jamila bussa alla porta di casa Hamman. Il giovane Mirwais apre la porta e corre a chiamare il padre: "Cosa succede! Tu, a quest'ora, a casa mia!" Jamila non esita un istante e sputa il rospo: "Amo Asif, tuo figlio, e voglio divorziare da mio marito". Il vecchio Hamman quasi tracolla, preso dal panico ordina al figlio di portare Jamila a casa di suo zio Rauf e di non farla uscire. Bastano pochi minuti e la sciagurata notizia corre impazzita di casa in casa. Jamila resta sola, rinchiusa in una stanza, pensando alla sua triste storia. Quel matrimonio combinato contro la sua volontà, quel marito che non ha mai amato e che per tre anni l'ha lasciata sola per cercare fortuna all'estero. E poi la solitudine, l'indifferenza di una società sorda al suo dolore, i sacrifici fatti per tirare avanti. E poi un giorno finalmente l'amore, finalmente l'uomo giusto. E la decisione coraggiosa di andare fino in fondo. La giustizia del mullah.  Alle quattro di notte la comunità maschile è già radunata nella moschea. Non si tratta della solita preghiera del mattino perché il mullah è arrivato in tutta fretta dalla città. L'atmosfera si fa tesa quando i testimoni raccontano lo sciagurato affronto di Jamila. Ma non ci sono dubbi, prima dell'alba il mullah emette la sentenza: lapidazione per la donna adulterina e cinquanta frustate per Asif, l'amato. I duecento partecipanti firmano l'atto di condanna che in seguito scomparirà e non sarà reperibile per gli investigatori del caso. Le mani omicide dei fratelli. Jamila è ancora a casa dello zio Rauf, ed è solo nel tardo pomeriggio che il padre e i due fratelli la raggiungono per eseguire la sentenza. Jamila capisce all'istante ma non reagisce, non cerca di difendersi e accetta silenziosamente il suo tragico destino. L'autopsia parlerà di grossi ematomi sul volto, un occhio tumefatto, e alcuni segni di percosse, anche se la morte è avvenuta per strangolamento. I medici riportano anche che Jamila non aveva rapporti sessuali da anni. Gli investigatori arrivano da Kabul solo cinque giorni dopo l'omicidio, e il clamore dell'evento spezza facilmente il velo d'omertà del piccolo villaggio. Le condanne non tardano ad arrivare. Vent'anni di carcere per il padre che in lacrime giura di non averla colpita, e per i due figli che rivendicano con orgoglio il massacro della sorella. Duecento dollari di ammenda per i firmatari della condanna scomparsa, libertà per il mullah che torna in tutta calma giù in città.

 

Jamila, un amore afgano

La polvere segue i lineamenti di una donna,

i passi, le urla al di là delle mie sbarre

mentre si spegne questo amore tormentato.

Penso a lei, alle parole sussurrate al cuore.

Il freddo pungente, un grido, la sofferenza.

Resto inerte tra i sassi che massacrano,

che straziano il candore della sua pelle.

La ragione di un fratello ti rinnega,

l’affetto di una madre ti accompagna

e le carezze di un padre non proteggono.

I piedi sono gelidi, gli occhi nascosti da un lenzuolo,

il sacrificio si spegne avvolto dal coraggio.

La polvere è andata via, le mani sono insanguinate,

un corpo giace immobile, la piazza si è svuotata.

Una fitta mi prende al cuore.

Perdona un uomo che ti ha incatenato,

perdona l’amore che ti ha imprigionato,

e perdona un popolo che ti ha giudicato.

 

Secondo posto ex aequo Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera” Edizione 2010

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