AFGHANISTAN
Sono le dieci di sera quando Jamila bussa alla porta di casa Hamman. Il giovane
Mirwais apre la porta e corre a chiamare il padre: "Cosa succede! Tu, a
quest'ora, a casa mia!" Jamila non esita un istante e sputa il rospo:
"Amo Asif, tuo figlio, e voglio divorziare da mio marito". Il vecchio
Hamman quasi tracolla, preso dal panico ordina al figlio di portare Jamila a
casa di suo zio Rauf e di non farla uscire. Bastano pochi minuti e la
sciagurata notizia corre impazzita di casa in casa. Jamila resta sola,
rinchiusa in una stanza, pensando alla sua triste storia. Quel matrimonio
combinato contro la sua volontà, quel marito che non ha mai amato e che per tre
anni l'ha lasciata sola per cercare fortuna all'estero. E poi la solitudine,
l'indifferenza di una società sorda al suo dolore, i sacrifici fatti per tirare
avanti. E poi un giorno finalmente l'amore, finalmente l'uomo giusto. E la
decisione coraggiosa di andare fino in fondo. La giustizia del mullah. Alle quattro di notte la comunità maschile è
già radunata nella moschea. Non si tratta della solita preghiera del mattino perché
il mullah è arrivato in tutta fretta dalla città. L'atmosfera si fa tesa quando
i testimoni raccontano lo sciagurato affronto di Jamila. Ma non ci sono dubbi,
prima dell'alba il mullah emette la sentenza: lapidazione per la donna
adulterina e cinquanta frustate per Asif, l'amato. I duecento partecipanti
firmano l'atto di condanna che in seguito scomparirà e non sarà reperibile per
gli investigatori del caso. Le mani omicide dei fratelli. Jamila è ancora a
casa dello zio Rauf, ed è solo nel tardo pomeriggio che il padre e i due
fratelli la raggiungono per eseguire la sentenza. Jamila capisce all'istante ma
non reagisce, non cerca di difendersi e accetta silenziosamente il suo tragico
destino. L'autopsia parlerà di grossi ematomi sul volto, un occhio tumefatto, e
alcuni segni di percosse, anche se la morte è avvenuta per strangolamento. I
medici riportano anche che Jamila non aveva rapporti sessuali da anni. Gli
investigatori arrivano da Kabul solo cinque giorni dopo l'omicidio, e il
clamore dell'evento spezza facilmente il velo d'omertà del piccolo villaggio.
Le condanne non tardano ad arrivare. Vent'anni di carcere per il padre che in
lacrime giura di non averla colpita, e per i due figli che rivendicano con
orgoglio il massacro della sorella. Duecento dollari di ammenda per i firmatari
della condanna scomparsa, libertà per il mullah che torna in tutta calma giù in
città.
Jamila, un amore afgano
La
polvere segue i lineamenti di una donna,
i
passi, le urla al di là delle mie sbarre
mentre
si spegne questo amore tormentato.
Penso
a lei, alle parole sussurrate al cuore.
Il
freddo pungente, un grido, la sofferenza.
Resto
inerte tra i sassi che massacrano,
che
straziano il candore della sua pelle.
La
ragione di un fratello ti rinnega,
l’affetto
di una madre ti accompagna
e
le carezze di un padre non proteggono.
I
piedi sono gelidi, gli occhi nascosti da un lenzuolo,
il
sacrificio si spegne avvolto dal coraggio.
La
polvere è andata via, le mani sono insanguinate,
un
corpo giace immobile, la piazza si è svuotata.
Una
fitta mi prende al cuore.
Perdona
un uomo che ti ha incatenato,
perdona
l’amore che ti ha imprigionato,
e
perdona un popolo che ti ha giudicato.
Secondo posto ex aequo Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera” Edizione 2010
Nessun commento:
Posta un commento