Mariacarmela Ribecco is a poet and human rights activist. A river of emotions able to leave a lump in the throat, in the heart. Afghanistan, Brazil, Chechnya, West Bank, Colombia, Ethiopia, Iran, Iraq, Yemen, Kurdistan, Mexico, Somalia,United States and Italy.
martedì 1 novembre 2011
Il mio giovane fato
Canta l’usignolo nel deserto delle verità,
danza nel vento il papavero arso dalla povertà,
si prosciuga la sorgente degli uomini liberi.
Prima del pane caldo … l’affetto.
Prima del lungo viaggio … il perdono.
Prima dell’amara lotta … il coraggio.
La neve scompare sul viale illuminato
… è tornato il sorriso, l’abbraccio, il bacio,
le parole calde del mio giovane fato.
Finalista 1° Concorso poetico letterario del DinAnimismo
Poesia dedicata a Megan Williams
STATI UNITI
Settembre
2007 - Non è stata scelta a caso. Rapita, torturata ed umiliata sessualmente da
un gruppo di sei persone per una settimana in una abitazione isolata in West
Virginia. La vittima era la ex-fidanzata di uno dei tormentatori. Durante la
sua traumatica esperienza Megan Williams, 20 anni, è stata torturata a sangue
con un coltello, costretta a mangiare feci di animali, stretta al collo con una
fune, abusata sessualmente e insultata in continuazione con epiteti razziali.
La polizia, che ha liberato la ragazza grazie ad una telefonata anonima, ha
scoperto che la vittima aveva avuto in passato una relazione sentimentale con
Bobby Brewster, uno dei sei sequestratori - tre donne e tre uomini - che
l'hanno torturata per una settimana. La ragazza durante la prigionia è stata costretta
a leccare le scarpe dei suoi rapitori e a bere acqua dalla tazza della
toilette. Le violenze sessuali sono avvenute sotto la minaccia di coltelli e
durante gli abusi la vittima è stata bruciata con acqua bollente. Il gruppo era
guidato da Frankie Brewster, 49 anni, madre dell'ex-ragazzo della vittima. La
donna ha una lunga fedina penale (compresi cinque anni di prigione per
omicidio). Quando gli agenti si sono recati all’abitazione, dopo avere ricevuto
una telefonata anonima, hanno trovato Frankie Brewster a sedere sotto il
portico. La donna ha detto alla polizia che non c'era nessuno in casa ma poco
dopo si è aperta la porta e la vittima è uscita barcollando, con le braccia
tese, gli occhi pesti ed evidenti ferite alle gambe, gridando «Aiutatemi!» ai
poliziotti. La vittima ha raccontato alla polizia dettagli orribili sulle
torture subite, compreso l'obbligo a nutrirsi di feci di cani e di ratti. I
torturatori le hanno tagliato anche i capelli e l'hanno più volte pugnalata ad
una gamba. I sei rapitori - che comprendono coppie madre-figlio e madre-figlia
- sono in età tra i 20 ed i 49 anni ed hanno tutti dei precedenti penali (per
un totale di 108 incriminazioni).
Megan
I
capelli scivolano sul pavimento,
il
calore dell’acqua ustiona la paura,
il
vento calma d’improvviso l’aria,
un
brivido scorre sulla pelle
…
è ancora la morte che sorride,
che
si nutre, ti accarezza.
Il
fetore accompagna i minuti,
le
ore, le giornate e la smisurata sofferenza
quando
le urla tuonano nel silenzio,
nel
respiro, nelle voci bisbigliate
…
sono il tormento, la tua illusione.
La
violenza cresce sulla pelle,
l’impulso
sfugge al fato,
i
baci concessi dal cuore torturano
perché
lui, tra gli altri, è il carnefice.
Megan,
la donna che culla la speranza
che
osserva le ombre sopraffarla
quando
la mente vaga solitaria
e
si abbandona ai pensieri dei suoi aguzzini.
C’è
freddo, c’è tremore, c’è stanchezza
a
circondare l’inaccettabile respiro
…
il calore di una donna da cercare, da salvare.
Una
mano afferra una maniglia,
le
lacrime scorrono sul viso,
qualcuno
irrompe nel silenzio, nella follia.
Si
avvicina, non capisce, la sorregge,
…
non dimenticherà mai, non capirà mai
il
principio di una condanna annunciata.
Secondo posto ex aequo Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera” Edizione 2010
Poesia dedicata a Jamila
AFGHANISTAN
Sono le dieci di sera quando Jamila bussa alla porta di casa Hamman. Il giovane
Mirwais apre la porta e corre a chiamare il padre: "Cosa succede! Tu, a
quest'ora, a casa mia!" Jamila non esita un istante e sputa il rospo:
"Amo Asif, tuo figlio, e voglio divorziare da mio marito". Il vecchio
Hamman quasi tracolla, preso dal panico ordina al figlio di portare Jamila a
casa di suo zio Rauf e di non farla uscire. Bastano pochi minuti e la
sciagurata notizia corre impazzita di casa in casa. Jamila resta sola,
rinchiusa in una stanza, pensando alla sua triste storia. Quel matrimonio
combinato contro la sua volontà, quel marito che non ha mai amato e che per tre
anni l'ha lasciata sola per cercare fortuna all'estero. E poi la solitudine,
l'indifferenza di una società sorda al suo dolore, i sacrifici fatti per tirare
avanti. E poi un giorno finalmente l'amore, finalmente l'uomo giusto. E la
decisione coraggiosa di andare fino in fondo. La giustizia del mullah. Alle quattro di notte la comunità maschile è
già radunata nella moschea. Non si tratta della solita preghiera del mattino perché
il mullah è arrivato in tutta fretta dalla città. L'atmosfera si fa tesa quando
i testimoni raccontano lo sciagurato affronto di Jamila. Ma non ci sono dubbi,
prima dell'alba il mullah emette la sentenza: lapidazione per la donna
adulterina e cinquanta frustate per Asif, l'amato. I duecento partecipanti
firmano l'atto di condanna che in seguito scomparirà e non sarà reperibile per
gli investigatori del caso. Le mani omicide dei fratelli. Jamila è ancora a
casa dello zio Rauf, ed è solo nel tardo pomeriggio che il padre e i due
fratelli la raggiungono per eseguire la sentenza. Jamila capisce all'istante ma
non reagisce, non cerca di difendersi e accetta silenziosamente il suo tragico
destino. L'autopsia parlerà di grossi ematomi sul volto, un occhio tumefatto, e
alcuni segni di percosse, anche se la morte è avvenuta per strangolamento. I
medici riportano anche che Jamila non aveva rapporti sessuali da anni. Gli
investigatori arrivano da Kabul solo cinque giorni dopo l'omicidio, e il
clamore dell'evento spezza facilmente il velo d'omertà del piccolo villaggio.
Le condanne non tardano ad arrivare. Vent'anni di carcere per il padre che in
lacrime giura di non averla colpita, e per i due figli che rivendicano con
orgoglio il massacro della sorella. Duecento dollari di ammenda per i firmatari
della condanna scomparsa, libertà per il mullah che torna in tutta calma giù in
città.
Jamila, un amore afgano
La
polvere segue i lineamenti di una donna,
i
passi, le urla al di là delle mie sbarre
mentre
si spegne questo amore tormentato.
Penso
a lei, alle parole sussurrate al cuore.
Il
freddo pungente, un grido, la sofferenza.
Resto
inerte tra i sassi che massacrano,
che
straziano il candore della sua pelle.
La
ragione di un fratello ti rinnega,
l’affetto
di una madre ti accompagna
e
le carezze di un padre non proteggono.
I
piedi sono gelidi, gli occhi nascosti da un lenzuolo,
il
sacrificio si spegne avvolto dal coraggio.
La
polvere è andata via, le mani sono insanguinate,
un
corpo giace immobile, la piazza si è svuotata.
Una
fitta mi prende al cuore.
Perdona
un uomo che ti ha incatenato,
perdona
l’amore che ti ha imprigionato,
e
perdona un popolo che ti ha giudicato.
Secondo posto ex aequo Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera” Edizione 2010
Poesia dedicata alle sorelle Esen ed Elif
Esen ed Elif, anime curde
Sono calma, ancora lucida, sola,
mentre afferro i rimpianti di una sorella,
tra
gli abiti accanto a una follia,
in
un legame forte come la libertà.
Sento
il calore crescere sulla pelle,
le
fiamme imprigionarmi nell'inferno,
il
dolore dare un senso alla mia pazzia
nella
torcia umana che si spegne in una stanza,
tra
gli scritti, il mio lavoro, la mia vita.
Il
corpo si piega, già martoriato dai ricordi,
le
gambe cedono, lontana dagli affetti.
Voglio
andare via, adesso ...
ma
nessuno ascolta l'agonia di una donna
che
come luce gelida di una candela,
spiega
le ali di una amara vittoria.
Il
ricordo di una sorella, il suo respiro di tre giorni,
un
letto che soffoca, che stringe i polsi, le caviglie
...
questo era il suo canto e il mio destino.
La
guardo, le sorrido, la cerco.
È
il viso umido di mia madre,
la
madre coraggiosa di questa ultima agonia.
Poesia dedicata alla piccola Nojoud Muhammed Nasser
YEMEN
Opera nata dalla storia
di Nojoud Muhammed Nasser
Nojoud
è una bambina Yemenita che il 2 aprile 2008 si è presentata davanti ad un
tribunale del la capitale dello Yemen, per chiedere il divorzio dal marito, che
la picchiava e la costringeva ad avere rapporti sessuali, e per denunciare il
padre, che due mesi prima l’aveva data in moglie ad un uomo di 30 anni. Nojoud
nel 2008 aveva solo 8 anni. Il giudice le ha concesso il divorzio ma la storia
di Nojoud accomuna molte altre bimbe che vivono la stessa realtà in paesi come
l’Afghanistan, il Nepal, l’Etiopia, il
Bangladesh, l’India e il Pakistan. I matrimoni precoci sono la
conseguenza delle difficili condizioni economiche delle famiglie che vedono
nella dote un sostentamento necessario per il proprio nucleo familiare.
Nojoud, la piccola sposa bambina
In
una culla rosa si schiudono i miraggi
ed
una bimba ne assapora l’ambrosia, l’intensità.
La
rabbia piega le fantasie riposte in un cortile
sulle
altalene mosse dal tepore, dalla quiete.
Nei
ricordi i giochi, le rincorse, i compagni da abbracciare
ed
una promessa, un velo candito sul viso acerbo.
Le
paure si trascinano tra le mura dell’omertà
e
la pietà si logora tra le lenzuola
che
accolgono un angelo tremante,
disteso
sotto ad un uomo violento.
Nojoud
piange, fugge, si dimena
…
è irraggiungibile, è isolata
nelle
stanze di una sposa bambina.
Sotto
le mani ruvide lo spirito si rialza
e
chiede ascolto alla mia assenza, alla mia cecità.
Nell’eco
il respiro si fa intenso,
l’orco
ne afferra i polsi
e
ne consuma il bocciolo …
ne
inaridisce il domani …
ne
ghermisce l’infanzia …
Nojoud
ha smesso di piangere
e
la piccola sposa non ha più velo
nello
sguardo vivo di una donna in fasce.
Poesia dedicata a Kamilat Muhisin
ETIOPIA
Opera nata dalla storia di Kamilat Muhisin
La
storia di Kamilat arriva dall’Etiopia. Aveva un futuro luminoso davanti a lei.
Ha lavorato in una società privata dei suoi genitori e si è laureata nel 2004
presso il collegio S. Maria con un diploma in scienze. “Un uomo venuto dal
nulla ha versato dell’acido sulla mia faccia, e alcune gocce hanno raggiunto
anche una delle mie sorelle al volto” racconta Kamilat stesa nel letto di un
ospedale. Ha gli occhi coperti da una benda perché ha subito un intervento.
Entrambe, una sera, erano di ritorno dal lavoro. Kamilat conosceva bene l’uomo
che le ha deturpato il viso. Era un amico da circa cinque-sei anni ma col tempo
il suo atteggiamento ha iniziato a cambiare. “Mi seguiva ovunque e sapeva
sempre quello che mangiavo e bevevo. Un giorno ha anche minacciato di afferrare
la mia mano e di mettermi una bomba tra le dita per mostrare la misura della
sua follia. Nel momento in cui mi è stato versato sul viso non sapevo che era
acido. L’ho capito quando ha iniziato a corrodere i miei occhi. E’ accaduto in
pochi secondi. La reazione immediata è stata quella di cercare il mio viso con
le mani. Era quasi bruciato del tutto insieme ai miei occhi. Quando sono arrivati
i miei genitori hanno gettato dell’acqua sul volto per fermare la corrosione e
poi siamo corsi verso l’ospedale”. Tutta la faccia, tra cui la sua fronte e la
zona del torace, sono stati bruciati. L’acido ha sfigurato e provocato uno
scolorimento della pelle. Kamilat ha perso i capelli sulla fronte … non
ricresceranno mai più. L’acido ha distrutto la funzionalità degli occhi. Il 5
marzo 2007 ha subito un’operazione alle palpebre superiori per poter almeno
chiudere gli occhi. Un successivo intervento alle palpebre inferiori le avrebbe
permesso di poter chiudere entrambi gli occhi. Il giorno successivo Demesew,
l’uomo che l’aveva sfigurata, si è recato in ospedale. Ha insistito sulla
possibilità di poter incontrare Kamilat. Alla scoperta della sua identità le
infermiere gli hanno chiesto di aspettare fuori e hanno avvisato i suoi
fratelli. Demesew è stato arrestato dalla polizia.
Kamilat, il volto dei ricordi
I
passi si susseguono cercando una donna,
lo
spirito abbraccia le aspirazioni del domani
e
le mani violente accarezzano un viso fragile.
I
passi si susseguono attraversando la via del martirio
nella
notte dove i sorrisi tra sorelle appaiono eterni
ed
il cuore gioisce, non sa d’essere una preda seguita,
osservata,
ricattata da brandelli di una follia.
Quel
giorno lo ricordo ancora.
Nello
specchio le labbra morbide, gli occhi raggianti
e
la pelle rosea nei lineamenti sottili.
Sono
io riflessa nel passato … serena.
Nelle
mani di un uomo celato inizia la mia condanna
e
tra la gente invisibile si consuma l’avvenire.
Si
avvicina … bagna il viso … fugge …
il
senso del vuoto cresce
e
si accascia stanco ai miei piedi
mentre
si spezzano le gioie della fanciullezza.
Le
urla disperate sono assordanti
e
la pelle incandescente si fa chiara, corrode
…
stordisce il respiro faticoso.
Le
palpebre non trattengono più le lacrime
e
nella foto nascosta in un cassetto resta la reminiscenza,
le
mani che accarezzano l’espressione in volto,
un’immagine
scomparsa
…
orfana tra gli oggetti del passato.
Selezione Editoriale 7° Concorso di Poesia “Poesie del nuovo millennio” – Edizione 2009