mercoledì 13 giugno 2012

Dedico questa poesia agli operai dell’Italsider, alle loro famiglie ...

... al genitore che in passato non sapeva di barattare la propria salute per un futuro dignitoso. La dedico a sua moglie. Ai suoi figli. E la dedico a mio padre. Alla sua ingenuità. Alla sua onestà. E ai suoi sogni che oggi continuano a crescere e mettere radici!

Il profumo del caffè ha inebriato la casa
e il babbo dolcemente ha socchiuso la porta.
Con le arance in tasca e la famiglia nel cuore
ha già concesso ai pensieri anomale visioni.
L’orizzonte è illuminato, c’è chi racconta di un nascituro,
l’asfalto, le lancette, lo stabilimento dei sognatori acerbi.
Blindata tra le polveri scorre l’inganno,
le risate fraterne scuotono paesaggi
che celebrano agnelli sotto cieli di ipocrisia.
Papà è tornato a casa, scuote l’armatura,
mia madre gli sorride, i profumi saziano il focolaio.
Nel porto silenzioso le barche lentamente frantumano la luna
e le luci soffuse accompagnano le menti sterili.
L’infanzia, l’assenza, i giocattoli del padrone,
l’orgoglio, le fatiche, i ricordi di un operaio in pensione.
Il mandorlo ha saccheggiato il tempo e le rughe sul viso.
Le mani, ieri, accarezzavano ruvidamente l’acciaio.
Le mani, oggi, amorevolmente accarezzano la terra.

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